Amazon è un hosting provider “attivo”, secondo il Tribunale delle Imprese di Milano

 
di Riccardo Traina Chiarini

 

Con ordinanza del 19 ottobre 2020 Tribunale di Milano, nella persona del Giudice Dott.ssa Zana, ha accolto il ricorso proposto dal produttore di alcuni prodotti di profumeria di lusso, oggetto di accordi di distribuzione selettiva, imponendo alle società di Amazon resistenti un’inibitoria totale dalla commercializzazione, offerta in vendita, promozione e pubblicizzazione, sul proprio marketplace online, delle fragranze in questione.

 

La decisione, su cui attualmente pende il reclamo proposto dalle resistenti, fornisce molti spunti di riflessione, tra i quali spicca decisamente l’accertamento circa la natura di hosting provider “attivo” di Amazon in relazione all’attività di gestione del proprio portale di vendita, anche laddove la stessa sia limitata alla fornitura di cc.dd. servizi di intermediazione, ovverosia quando essa non operi quale venditore diretto ma in qualità di fornitore del servizio a soggetti terzi che possano pubblicare sulla piattaforma propri annunci di vendita.

 

Previo riconoscimento della qualificabilità di Amazon quale “prestatore intermediario dei servizi della società dell’informazione”, e richiamo alla normativa di cui alla Direttiva 2000/31/CE (“direttiva e-commerce”) ed al D.Lgs. 70/2003, il Giudice ha innanzitutto ricordato che, ai sensi del considerando 42 della Direttiva, viene meno il regime privilegiato di cui possono godere gli Internet Service Provider nel caso in cui “l’attività di memorizzazione delle informazioni sia posta in essere da un hosting provider attivo”, come da ultimo riconosciuto dalla Suprema Corte con la nota sentenza n. 7708/2019, in cui sono esemplificati alcuni cc.dd. “indici di interferenza da accertare in concreto ad opera del giudice di merito” al fine della determinazione del grado di ingerenza dell’hosting provider nella commissione di un illecito, pure richiamati nell’ordinanza in commento.
Il Tribunale ha dunque accertato, in concreto, che Amazon, tra l’altro, (i) “gestisce lo stoccaggio e la spedizione dei prodotti”, (ii) “gestisce un servizio clienti per le inserzioni di vendita di terzi, che costituisce l’unico servizio di cui il cliente dispone per potersi interfacciare con il venditore”, (iii) “è responsabile di un’attività promozionale anche tramite inserzioni su siti internet di terzi” e (iv) “permette ai consumatori di inferire l’esistenza di un legame tra Amazon” e le aziende produttrici dei prodotti venduti sulla piattaforma.
Ne consegue che ad Amazon non sono applicabili le esenzioni di responsabilità previste dalla normativa innanzi citata in quanto, per l’appunto, l’attività da essa prestata è qualificabile in termini di fornitura di un servizio di hosting “attivo”, “avendo conoscenza e controllo dei dati che vengono inseriti dai terzi venditori”.

 

È importante sottolineare, come ricorda lo stesso Tribunale di Milano, che tale riconoscimento non influisce direttamente sulla possibilità, per l’autorità giudiziaria, di emettere un ordine di inibitoria nei confronti dell’intermediario – l’inibitoria infatti può essere disposta nei confronti di tutti gli intermediari della rete, siano essi qualificabili in termini di mere conduit, caching, hosting (“attivo” o “passivo” che sia), o siano piuttosto figure ibride difficilmente inquadrabili in quelle “codificate” (come lo stesso Tribunale di Milano ha recentemente riconosciuto con altra ordinanza riguardante un fornitore di servizi di Content Delivery Network).

 

L’importanza della statuizione, tuttavia, è evidente, non solo perché si tratta a tutti gli effetti della prima pronuncia italiana (se si esclude AGCM, 9 marzo 2016, Provvedimento n. 2591) che ha riconosciuto il ruolo di hosting provider “attivo” di Amazon, ma perché tale riconoscimento rileva – indipendentemente (come si diceva) dall’imponibilità di un ordine inibitorio – sotto “il profilo risarcitorio, sul regolamento delle spese processuali e sulla diversa modulazione del comando cautelare (soprattutto ove l’illecito sia continuativo)”.  Interessante, in questo senso, anche l’ultima considerazione del Giudice sul punto, circa il fatto che, “considerata la veste di provider attivo di Amazon e, dunque, l’inoperatività del regime di cui” alla direttiva e-commerce, è irrilevante la circostanza che la titolare dei diritti abbia informato la resistente, con apposite diffide, delle violazioni perpetrate attraverso la piattaforma dalla stessa gestita.

 

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